“Perché l’hai fatto?”. “Perché sì”. Ma che risposta è? I
bambini sono proprio ingenui. Risposte del genere, quando cresci, non ti
portano da nessuna parte.
O quasi. Con gli anni perdiamo qualcosa. Cerchiamo
spiegazioni, ragioni. Per capire, prevenire, agire. Ma non tutto si può
spiegare. Alcune cose avvengono solo perché erano possibili e si sono
concretizzate. O, il che è lo stesso, hanno motivazioni che non siamo in grado
di conoscere (troppe variabili in gioco). E allora la risposta buona, la prima
risposta da dare, è quella dei bambini, quella che sembra così stupida. “Ma
come è potuta succedere una cosa così assurda?”, “perché proprio a me?”, “perché
ora e non dopo?”. Perché sì. Dopo possiamo anche prenderci la briga di indagare
meglio, cercare di capire; ma il “perché sì” dovrebbe essere il punto di
partenza di ogni spiegazione razionale e, soprattutto, di ogni tentativo di “venirne fuori” senza perdersi in problemi secondari o
non essenziali.
Mi viene in mente un vecchio episodio di “Twilight Zone”/“Ai
confini della realtà” in cui il signor Bill Lowery un giorno si sveglia e si
accorge che tutti intorno a lui parlano una strana lingua. Non riuscendo a
capire o comunicare sta per impazzire. E invece...
L’episodio si chiude con queste parole: “Come mai può essere capitata una cosa tanto straordinaria a un uomo così comune? Può non avere importanza che il mondo sia cambiato così drasticamente per lui [cfr. il “perché sì”]. La vita è incomprensibile anche nei momenti migliori. Ma è importante che Bill Lowery sia un uomo comune. È uno come noi. Un uomo deciso a prevalere nel mondo che era, nel mondo che è o nel mondo che sarà”.
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