12.6.10

Meritocrazia

"Si piglia gioco di me?" interruppe il giovine. "Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?"


Accade che episodi apparentemente marginali diventino esplicativi di un certo periodo storico.
Alcuni dicono: ma i veri problemi sono altri.
Questo si chiama benaltrismo e lascia il tempo che trova perché tanto, in ogni discussione, un problema "più importante" di quello che si sta affrontando lo si trova sempre.
Parliamo del "caso Luttazzi".
CONTESTI
Pare che il comico non si sia fatto scrupoli nel rubacchiare qua e là battute altrui. Esaminare tutti i suoi (improbabili) tentativi di difesa porterebbe via troppo tempo, mi soffermerei piuttosto sul tema del "contesto".
Luttazzi dice: no, io non copio; dovete capire che la stessa battuta detta in due contesti diversi assume due significati diversi.
George Carlin ("comico A") inventa una battuta ("battuta A") e Luttazzi (comico B) la riprende modificandola e ricontestualizzandola ("battuta B"). La stessa battuta quindi si trasforma e sortisce esiti diversi. A questo proposito Luttazzi sostiene di essere meglio dell'orginale e di riuscire a migliorare le battute del "comico A".
Il ragionamento si applica facilmente anche ad altri livelli, non solo a cosa si dice (la battuta) ma anche a chi parla (il comico). Accade così che lo stesso comico assume un significato diverso in base al contesto in cui è inserito, e per "contesto" intendo anche la storia di "ciò che si dice".
Se io penso che Luttazzi abbia appena detto una brillante battuta, sua originale, per me "Luttazzi" equivale a "comico brillante". Ma se vengo a sapere che la stessa brillante battuta è presa da un altro comico (Carlin) e ricontestualizzata, allora per me "Luttazzi" significherà qualcos'altro, magari "un bravo attore comico" o "un bravo traduttore". Si contestualizzano le battute ma anche i comici e li contestualizziamo secondo le notizie di cui siamo in possesso (ora, per esempio, veniamo a scoprire che erano battute non sue).
Luttazzi usa l'argomento del contesto per sostenere la propria originalità, ma poi si smentisce e afferma: io non copio; in realtà prendo battute altrui per potermi difendere da accuse di volgarità. Se qualcuno gli fa causa e gli dice: "la tua non è satira è volgarità", lui risponde: la mia battuta ("battuta B") è la stessa di quella di Carlin ("battuta A") e nessuno oserebbe pensare che Carlin sia volgare, a meno che tu non ne ignori l'esistenza e in quel caso saresti tu nel torto in quanto ignorante (dell'esistenza di Carlin).
Ma come, prima dici che A e B sono due battute diverse in quanto appartengono a contesti diversi e poi dici che sono battute uguali che possono essere usate per lo stesso fine (difesa nei processi)?
Un errore che i giornalisti commettono quando rivolgono domande a Luttazzi è quello di cominciare l'intervista con la domanda "ma è vero che copi?". Non puoi chiedere a un ladro, convinto che sia lecito rubare, se ruba. La domanda giusta è: "cos'è per te la satira"? oppure "cos'è per te un contesto"? Davanti a queste domande è più difficile arrampicarsi sugli specchi.
LATINORUM
Un altro aspetto molto basso di questa vicenda è l'utilizzo della cultura come arma di difesa e offesa. Luttazzi rinfaccia ai suoi accusatori di essere ignoranti, di non capire di semiotica e di ignorare la sottile tecnica che si cela dietro alle battute. Strano però: quegli ignoranti sono gli stessi che apprezzano il frutto delle sue tecniche segrete, gli stessi che lo stimano e comprano i suoi dvd. Allora come funziona? Se le battute piacciono e il personaggio regge, tutto ok. Se il personaggio scricchiola (per suoi errori) è colpa del pubblico, divenuto a un tratto "ignorante"? Sono metodi degni del peggiore don Abbondio che stordiva il povero Renzo con il suo latinorum per non affrontare questioni sgradevoli.
E poi, se elabori una teoria quest'ultima dovrebbe illuminare l'argomento di discussione ("la battuta comica e il plagio") e invece le teorie di Luttazzi più che illuminare fanno sorgere maggiori dubbi. Una volta assunte le teorie luttazziane, non vedi cose vecchie con occhi nuovi: laddove vedevi battute copiate continui a vedere le stesse battute copiate.

Come si è comportato Luttazzi? Come un arrivista senza stile, ha mostrato arroganza e scarso rispetto verso gli accusatori che, cosa grave, spesso erano suoi exfan. Ciò denota un'idea molto bassa degli spettatori e lettori, più o meno la stessa idea che don Abbondio poteva avere di Renzo: qualcuno che si possa rabbonire con alchemici discorsi.
Che poi è l'idea del "popolo" che ha Berlusconi. O Berlusc-azzi. O Luttazz-oni, che dir si voglia.
COSA CI MERITIAMO?
Ho pensato allora ad alcuni personaggi, oltre a quelli appena menzionati: Santoro e Grillo. E ho notato una cosa che prima mi era passata inosservata: sono tutti e 4, chi più chi meno, ricchi. Molto più ricchi dell'uomo della strada.
Mi si dirà: guadagnano per quanto producono. Sono d'accordo: per esempio anche i calciatori guadagnano moltissimo ma producono spettacolo e introiti pubblicitari. Ma Berlusconi non è solo un imprenditore. Santoro non è solo un giornalista. Luttazzi e Grillo non sono solo dei comici. O, per lo meno, non vogliono esserlo. Berlusconi governa una nazione, Santoro si fa paladino del diritto d'informazione, Luttazzi e Grillo lottano per la giustizia e la libertà. E chi li segue è pienamente d'accordo, anzi li segue proprio per questo. Ma se ti fai incarnazione di alti valori allora la tua vita deve in un certo modo rispecchiarli. Se vuoi essere "guida del popolo" o "educatore del popolo" devi essere in qualche misura "come il popolo". Il popolo è povero e "ignorante" (pensano). Ma loro sono ricchi e colti e spesso usano la loro ricchezza e la loro cultura come arma (per non parlare del potere).
A loro piace parlare di "popolo", di "fan", di "telespettatori" perché è come racchiudere una ricca moltitudine in una massa compatta e mansueta. Questi capipopolo non vogliono il bene degli italiani (non vogliono che il "popolo" raggiunga un maggiore benessere e una maggiore conoscenza), agiscono sempre per essere considerati un "fine in sè" e mai solamente come "mezzo" di un fine superiore (la giustizia, la libertà, il bene dello stato, l'informazione).
È sempre il banco quello che vince. Cioè loro.
Una frase circola spesso ed io stesso per molto tempo l'ho ritenuta innocua: "ognuno ha i capi che merita". Ritengo sia una frase molto pericolosa.
Innanzitutto, nella frase, "ognuno" non significa ognuno. Se la dicono quelli di destra la traduzione è: gli italiani migliori (cioè noi) hanno ciò che si meritano (il buon Berlusca). Se la pronunciano quelli di sinista la traduzione è: gli italiani peggiori (cioè loro) hanno ciò che si meritano (il perfido Berlusca).
La frase è subdola perché smentisce sempre il suo significato letterale e non parla mai della totalità degli Italiani.
Il risultato è l'adorazione del Berlusca o dei suoi fantomatici oppositori.
UN POLITICO DIVERSO
Voglio chiudere con un pensiero positivo e capovolgere la frase precedente: Oggi non abbiamo quello che meritiamo. In un periodo di crisi economica e imbrogli politici gli italiani sono diventati ipersensibili ad ogni furberia. Ci si chiede: (mutatis mutandis) Berlusca, Scajola, Luttazzi, ecc. ma possibile che nessuno rispetti le regole? Mettiamo che un politico nuovo si presenti alle elezioni, un politico che non fa 3 lavori contemporaneamente, ne fa uno solo e lo fa bene: si occupa di politica e tenta di risolvere i problemi del Paese senza pretendere di essere esso stesso un fine. Un politico onesto che non si riesce proprio ad incastrare perché è sempre stato sobrio e morigerato. Uno strumento per il tentativo di mettere in pratica decisioni giuste. Sono sicuro che la maggior parte degli italiani lo voterebbe.
In periodi di furberie l'onestà risalta e viene apprezzata maggiormente. Ci barcameniamo tra i Berlusconi e i Bersani, tra i Luttazzi, gli Scajola e i Bertolaso perché abbiamo aspirazioni che nessuno riesce ancora ad incarnare. Non abbiamo ancora avuto quello che ci meritiamo (sic!).

Poi naturalmente c'è ancora gente che difende a spada tratta i furbi, nello specifico Luttazzi. Per carità non ci trovo niente di male.
Non ho nulla contro la religione.

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